- M. Ruiz de Loizaga, "Hacia un arte litúrgico, según la concepción de Marko Ivan Rupnik. Reflexiones sobre el arte sacro", Scripta Theologica 49 (2017) 619-643.
La clasificación que Marko Ivan Rupnik establece al diferenciar el arte espiritual, arte religioso, arte sacro y arte litúrgico, nos permite recordar definiciones de autores precedentes y, al mismo tiempo, determinar, con mayor precisión, el sentido del arte litúrgico, que es parte constitutiva de la liturgia, de modo que sigue haciendo presente el Misterio incluso cuando esta no se celebra. Sus principales elementos son: su carácter eclesial, la importancia de la tradición y del conocimiento de la liturgia, la armonía entre la libertad creadora del artista y la inspiración del Espíritu Santo, la esencialidad, la concepción simbólica de la luz y el protagonismo de la materia. Por ello, se debe estimular la búsqueda del arte litúrgico en la actualidad, pero sin olvidar que este arte tiene un quid propio.
- A. S. Sánchez-Gil, "La communicatio in sacramentis con i fedeli riformati tra legge divina, norme ecclesiali e discernimento pastorale", Annales Theologici 31 (2017) 395-427.
La coincidenza del 500° anniversario della Riforma con il 50° anniversario della norma che permette una certa communicatio in sacramentis con i fedeli riformati – introdotta nel 1967 nella prima edizione del Direttorio ecumenico e poi inserita nei Codici canonici del 1983 e del 1990 – off re l’occasione di esaminare i precedenti, l’origine, gli sviluppi e la portata di questa disposizione. Nonostante i malintesi occasionati, tale norma ha segnato un momento di grande importanza nel dialogo ecumenico, in quanto ha rappresentato in modo tangibile il riconoscimento da parte della Chiesa cattolica dei fedeli riformati, quali veri fratelli nel Signore e, di conseguenza, quali legittimi beneficiari – in situazioni di grave necessità e a determinate condizioni – dei mezzi di salvezza instituiti da Cristo e affidati alla sua Chiesa. Se ben compresa e ben applicata – tenendo presente la grazia speciale di ogni sacramento nell’unità del settenario sacramentale, nel rispetto dei limiti della legge divina alla communicatio in sacramentis e con l’opportuno discernimento pastorale – tale disposizione ecclesiale può essere considerata una sorta di distillato di ciò che la Chiesa cattolica professa quando celebra sacramenti: la certezza che la salvezza viene solo da Cristo, il quale ha istituito i sacramenti e li ha dotati di un’efficacia salvifica, che – se si danno le giuste condizioni – può agire anche oltre i confini visibili della Chiesa cattolica; come accade nel caso dei fedeli riformati che, trovandosi in situazioni eccezionali di urgente grave necessità, li chiedono spontaneamente, sono ben disposti e manifestano la stessa fede professata dalla Chiesa cattolica.
- A. García Ibáñez, "La penitenza nei riformatori protestanti del XVI secolo", Annales Theologici 31 (2017) 429-457.
La tematica della penitenza è centrale nella rifl essione teologica dei riformatori protestanti del XVI secolo, tanto che molti autori riconducono la nascita della Riforma proprio alla rinnovata comprensione del peccato, della penitenza e della giustificazione elaborata da loro. Essi misero in discussione la teologia e la prassi penitenziale vigente fino allora nella Chiesa e proposero nuove forme di celebrazione della penitenza. Più concretamente, i riformatori negarono che la penitenza è un vero e proprio sacramento istituito da Cristo, e la compresero come un “segno” che annuncia e avvia verso la salvezza, e la cui struttura sarebbe stata stabilita dalla Chiesa. Sostennero inoltre che da tale “segno” dovevano essere esclusi i tre atti del penitente di cui parlava la teologia medievale (contritio cordis, confessio oris, satisfactio operis), affermando che tali atti non possono essere rettamente compiuti dal peccatore, né, tanto meno, preparare l’uomo alla giustificazione. Il “segno” della penitenza, per loro, sarebbe dunque costituito esclusivamente dall’assoluzione elargita dal ministro, nella quale, però, essi vedevano soltanto l’annuncio di un’off erta di perdono da parte di Dio. Asserirono infine che l’assoluzione può essere impartita da ogni fedele cristiano. Per quanto riguarda la prassi rituale, nelle comunità luterane e calviniste si eseguirono fondamentalmente tre forme di celebrazione della “confessione”: a) la “confessione – consolazione della coscienza”, fatta liberamente davanti al pastore o ad un fratello; b) la “confessione – esame catechetico- disciplinare”, da tenersi col proprio pastore prima di accedere alla Comunione durante la Cena; c) la “confessione generale”, fatta dalla comunità cristiana nella prima parte della celebrazione della Cena.
- G. Hernández Peludo, "Mistagogia y teología de los sacramentos", Estudios Trinitarios 51 (2017) 289-353.
- D. García Guillén, "Por una teología trinitaria más inspirada en la liturgia", Estudios Trinitarios 51 (2017) 239-287.
- N.J. Lorenzo Leal, "El relato litúrgico del Misterio Pascual y su dinamismo trinitario", Estudios Trinitarios 51 (2017)
- A. S. Sánchez-Gil, "La communicatio in sacramentis con i fedeli riformati tra legge divina, norme ecclesiali e discernimento pastorale", Annales Theologici 31 (2017) 395-427.
La coincidenza del 500° anniversario della Riforma con il 50° anniversario della norma che permette una certa communicatio in sacramentis con i fedeli riformati – introdotta nel 1967 nella prima edizione del Direttorio ecumenico e poi inserita nei Codici canonici del 1983 e del 1990 – off re l’occasione di esaminare i precedenti, l’origine, gli sviluppi e la portata di questa disposizione. Nonostante i malintesi occasionati, tale norma ha segnato un momento di grande importanza nel dialogo ecumenico, in quanto ha rappresentato in modo tangibile il riconoscimento da parte della Chiesa cattolica dei fedeli riformati, quali veri fratelli nel Signore e, di conseguenza, quali legittimi beneficiari – in situazioni di grave necessità e a determinate condizioni – dei mezzi di salvezza instituiti da Cristo e affidati alla sua Chiesa. Se ben compresa e ben applicata – tenendo presente la grazia speciale di ogni sacramento nell’unità del settenario sacramentale, nel rispetto dei limiti della legge divina alla communicatio in sacramentis e con l’opportuno discernimento pastorale – tale disposizione ecclesiale può essere considerata una sorta di distillato di ciò che la Chiesa cattolica professa quando celebra sacramenti: la certezza che la salvezza viene solo da Cristo, il quale ha istituito i sacramenti e li ha dotati di un’efficacia salvifica, che – se si danno le giuste condizioni – può agire anche oltre i confini visibili della Chiesa cattolica; come accade nel caso dei fedeli riformati che, trovandosi in situazioni eccezionali di urgente grave necessità, li chiedono spontaneamente, sono ben disposti e manifestano la stessa fede professata dalla Chiesa cattolica.
- A. García Ibáñez, "La penitenza nei riformatori protestanti del XVI secolo", Annales Theologici 31 (2017) 429-457.
La tematica della penitenza è centrale nella rifl essione teologica dei riformatori protestanti del XVI secolo, tanto che molti autori riconducono la nascita della Riforma proprio alla rinnovata comprensione del peccato, della penitenza e della giustificazione elaborata da loro. Essi misero in discussione la teologia e la prassi penitenziale vigente fino allora nella Chiesa e proposero nuove forme di celebrazione della penitenza. Più concretamente, i riformatori negarono che la penitenza è un vero e proprio sacramento istituito da Cristo, e la compresero come un “segno” che annuncia e avvia verso la salvezza, e la cui struttura sarebbe stata stabilita dalla Chiesa. Sostennero inoltre che da tale “segno” dovevano essere esclusi i tre atti del penitente di cui parlava la teologia medievale (contritio cordis, confessio oris, satisfactio operis), affermando che tali atti non possono essere rettamente compiuti dal peccatore, né, tanto meno, preparare l’uomo alla giustificazione. Il “segno” della penitenza, per loro, sarebbe dunque costituito esclusivamente dall’assoluzione elargita dal ministro, nella quale, però, essi vedevano soltanto l’annuncio di un’off erta di perdono da parte di Dio. Asserirono infine che l’assoluzione può essere impartita da ogni fedele cristiano. Per quanto riguarda la prassi rituale, nelle comunità luterane e calviniste si eseguirono fondamentalmente tre forme di celebrazione della “confessione”: a) la “confessione – consolazione della coscienza”, fatta liberamente davanti al pastore o ad un fratello; b) la “confessione – esame catechetico- disciplinare”, da tenersi col proprio pastore prima di accedere alla Comunione durante la Cena; c) la “confessione generale”, fatta dalla comunità cristiana nella prima parte della celebrazione della Cena.
- G. Hernández Peludo, "Mistagogia y teología de los sacramentos", Estudios Trinitarios 51 (2017) 289-353.
- D. García Guillén, "Por una teología trinitaria más inspirada en la liturgia", Estudios Trinitarios 51 (2017) 239-287.
- N.J. Lorenzo Leal, "El relato litúrgico del Misterio Pascual y su dinamismo trinitario", Estudios Trinitarios 51 (2017)