LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»
DEL
SOMMO PONTEFICE
FRANCESCO
FRANCESCO
“Magnum Principium”
CON
LA QUALE VIENE MODIFICATO IL CAN. 838
DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO
DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO
(traducción no oficial más abajo)
L’importante principio, confermato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, secondo cui la preghiera liturgica, adattata alla comprensione del popolo, possa essere capita, ha richiesto il grave compito, affidato ai Vescovi, di introdurre la lingua volgare nella liturgia e di preparare ed approvare le versioni dei libri liturgici.
L’importante principio, confermato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, secondo cui la preghiera liturgica, adattata alla comprensione del popolo, possa essere capita, ha richiesto il grave compito, affidato ai Vescovi, di introdurre la lingua volgare nella liturgia e di preparare ed approvare le versioni dei libri liturgici.
La
Chiesa Latina era consapevole dell’incombente sacrificio della perdita parziale
della propria lingua liturgica, adoperata in tutto il mondo nel corso dei
secoli, tuttavia aprì volentieri la porta a che le versioni, quali parte dei
riti stessi, divenissero voce della Chiesa che celebra i divini misteri,
insieme alla lingua latina.
Allo
stesso tempo, specialmente a seguito delle varie opinioni chiaramente espresse
dai Padri Conciliari relativamente all’uso della lingua volgare nella liturgia,
la Chiesa era consapevole delle difficoltà che in questa materia potevano
presentarsi. Da una parte, bisognava unire il bene dei fedeli di qualunque età
e cultura ed il loro diritto ad una conscia ed attiva partecipazione alle
celebrazioni liturgiche con l’unità sostanziale del Rito Romano; dall’altra, le
stesse lingue volgari spesso solo in maniera progressiva sarebbero potute
divenire lingue liturgiche, splendenti non diversamente dal latino liturgico
per l’eleganza dello stile e la gravità dei concetti al fine di alimentare la
fede.
A
ciò mirarono alcune Leggi liturgiche, Istruzioni, Lettere circolari,
indicazioni e conferme dei libri liturgici nelle lingue vernacole emesse dalla
Sede Apostolica già dai tempi del Concilio, e ciò sia prima che dopo le leggi
stabilite nel Codice di Diritto Canonico. I criteri indicati sono stati e
restano in linea generale utili e, per quanto è possibile, dovranno essere
seguiti dalle Commissioni liturgiche come strumenti adatti affinché, nella
grande varietà di lingue, la comunità liturgica possa arrivare ad uno stile
espressivo adatto e congruente alle singole parti, mantenendo l’integrità e
l’accurata fedeltà, specialmente nel tradurre alcuni testi di maggiore importanza
in ciascun libro liturgico.
Il
testo liturgico, in quanto segno rituale, è mezzo di comunicazione orale. Ma
per i credenti che celebrano i sacri riti, anche la parola è un mistero: quando
infatti vengono proferite le parole, in particolare quando si legge la Sacra
Scrittura, Dio parla agli uomini, Cristo stesso nel Vangelo parla al suo popolo
che, da sé o per mezzo del celebrante, con la preghiera risponde al Signore
nello Spirito Santo.
Fine
delle traduzioni dei testi liturgici e dei testi biblici, per la liturgia della
parola, è annunciare ai fedeli la parola di salvezza in obbedienza alla fede ed
esprimere la preghiera della Chiesa al Signore. A tale scopo bisogna fedelmente
comunicare ad un determinato popolo, tramite la sua propria lingua, ciò che la
Chiesa ha inteso comunicare ad un altro per mezzo della lingua latina. Sebbene
la fedeltà non sempre possa essere giudicata da parole singole ma debba esserlo
nel contesto di tutto l’atto della comunicazione e secondo il proprio genere
letterario, tuttavia alcuni termini peculiari vanno considerati anche nel
contesto dell’integra fede cattolica, poiché ogni traduzione dei testi
liturgici deve essere congruente con la sana dottrina.
Non
ci si deve stupire che, nel corso di questo lungo percorso di lavoro, siano
sorte delle difficoltà tra le Conferenze Episcopali e la Sede Apostolica.
Affinché le decisioni del Concilio circa l’uso delle lingue volgari nella
liturgia possano valere anche nei tempi futuri, è oltremodo necessaria una
costante collaborazione piena di fiducia reciproca, vigile e creativa, tra le
Conferenze Episcopali e il Dicastero della Sede Apostolica che esercita il
compito di promuovere la sacra Liturgia, cioè la Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Perciò, affinché continui il
rinnovamento dell’intera vita liturgica, è sembrato opportuno che alcuni
principi trasmessi fin dal tempo del Concilio siano più chiaramente riaffermati
e messi in pratica.
Si
deve senz’altro prestare attenzione all’utilità e al bene dei fedeli, né
bisogna dimenticare il diritto e l’onere delle Conferenze Episcopali che,
insieme con le Conferenze Episcopali di regioni aventi la medesima lingua e con
la Sede Apostolica, devono far sì e stabilire che, salvaguardata l’indole di
ciascuna lingua, sia reso pienamente e fedelmente il senso del testo originale
e che i libri liturgici tradotti, anche dopo gli adattamenti, sempre rifulgano
per l’unità del Rito Romano.
Per
rendere più facile e fruttuosa la collaborazione tra la Sede Apostolica e le
Conferenze Episcopali in questo servizio da prestare ai fedeli, ascoltato il
parere della Commissione di Vescovi e Periti da me istituita, dispongo, con
l’autorità affidatami, che la disciplina canonica attualmente vigente nel can.
838 del C.I.C. sia resa più chiara, affinché, secondo quanto espresso nella
Costituzione Sacrosanctum Concilium, in particolare agli
articoli 36 §§ 3. 4, 40 e 63, e nella Lettera Apostolica Motu Proprio Sacram Liturgiam, n. IX, appaia meglio la
competenza della Sede Apostolica circa le traduzioni dei libri liturgici e gli
adattamenti più profondi, tra i quali possono annoverarsi anche eventuali nuovi
testi da inserire in essi, stabiliti e approvati dalle Conferenze Episcopali.
In
tal senso, in futuro il can. 838 andrà letto come segue:
Can.
838 - § 1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall’autorità della
Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto,
al Vescovo diocesano.
§
2. È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della
Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici, rivedere[1]gli
adattamenti approvati a norma del diritto dalla Conferenza Episcopale, nonché
vigilare perché le norme liturgiche siano osservate ovunque fedelmente.
§
3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare fedelmente le versioni dei libri
liturgici nelle lingue correnti, adattate convenientemente entro i limiti
definiti, approvarle e pubblicare i libri liturgici, per le regioni di loro
pertinenza, dopo la conferma della Sede Apostolica.
§
4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti
della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono
tenuti.
In
maniera conseguente sono da interpretare sia l’art. 64 § 3 della Costituzione
Apostolica Pastor Bonus sia le altre leggi, in particolare
quelle contenute nei libri liturgici, circa le loro versioni. Parimenti
dispongo che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti modifichi il proprio “Regolamento” in base alla nuova disciplina e
aiuti le Conferenze Episcopali ad espletare il loro compito e si adoperi per promuovere
sempre di più la vita liturgica della Chiesa Latina.
Quanto
deliberato con questa Lettera apostolica in forma di “motu proprio”, ordino che
abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria anche se
degna di speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano, entrando
in vigore il 1° ottobre 2017, quindi pubblicato sugli Acta Apostolicae Sedis.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 3 settembre 2017, quinto del
mio Pontificato.
Francesco
In
occasione della pubblicazione del Motu Proprio Magnum principium, con cui il Papa Francesco stabilisce
delle variazioni nei §§ 2 e 3 del can. 838 del C.I.C., il Segretario della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti offre nella
seguente Nota un commento alle fonti sottese a tali paragrafi, considerando la
formulazione finora vigente e la nuova.
Fuente: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20170903_magnum-principium.html
Traducción en español
Carta Apostólica en forma de "Motu propio"del Sumo Pontífice Francisco “Magnum Principium” con la que se modifica el can.838 del Código de Derecho Canónico
El principio importante, confirmado por el Concilio Ecuménico Vaticano II, según el cual la oración litúrgica, adaptada a la comprensión del pueblo, pueda ser entendida, ha requerido la seria tarea encomendada a los obispos, de introducir la lengua vernácula en la liturgia y de preparar y aprobar las versiones de los libros litúrgicos.
La Iglesia Latina era consciente del inminente sacrificio de la pérdida parcial de su lengua litúrgica, utilizada en todo el mundo a través de los siglos, sin embargo abrió de buen grado la puerta a que las versiones, como parte de los mismos ritos, se convirtieran en la voz de la Iglesia que celebra los misterios divinos, junto con la lengua latina.
Al mismo tiempo, especialmente después de las diversas opiniones expresadas claramente por los Padres Conciliares respecto al uso de la lengua vernácula en la liturgia, la Iglesia era consciente de las dificultades que podían surgir en esta materia. Por un lado, era necesario unir el bien de los fieles de cualquier edad y cultura y su derecho a una participación consciente y activa en las celebraciones litúrgicas con la unidad sustancial del Rito Romano; por otro, las mismas lenguas vernáculas, a menudo sólo de manera progresiva, podrían haberse convertido en lenguas litúrgicas, resplandecientes no diversamente del latín litúrgico por la elegancia del estilo y la seriedad de los conceptos con el fin de alimentar la fe.
A eso apuntaron algunas Leyes litúrgicas, Instrucciones, Circulares, indicaciones y confirmaciones de los libros litúrgicos en las lenguas vernáculas emitidas por la Sede Apostólica ya desde los tiempos del Concilio, y eso tanto antes como después de las leyes establecidas en el Código de Derecho Canónico. Los criterios establecidos han sido y siguen siendo útiles en líneas generales y, en la medida de lo posible, tendrán que ser seguidos por las Comisiones litúrgicas como herramientas adecuadas para que, en la gran variedad de lenguas, la comunidad litúrgica pueda alcanzar un estilo expresivo adecuado y congruente con las partes individuales , manteniendo la integridad y la esmerada fidelidad, especialmente en la traducción de algunos de los textos más importantes en cada libro litúrgico.
El texto litúrgico, como signo ritual, es un medio de comunicación oral. Pero para los creyentes que celebran los ritos sagrados, incluso la palabra es un misterio: cuando, de hecho, se pronuncian las palabras, en particular cuando se lee la Sagrada Escritura, Dios habla a los hombres, Cristo mismo en el Evangelio habla a su pueblo, que, por sí mismo o por medio del celebrante, responde con la oración, al Señor en el Espíritu Santo.
El fin de las traducciones de los textos litúrgicos y de los textos bíblicos, para la liturgia de la palabra, es anunciar a los fieles la palabra de salvación en obediencia a la fe y expresar la oración de la Iglesia al Señor. Para ello, es necesario comunicar fielmente a un pueblo determinado, con su propio lenguaje, lo que la Iglesia ha querido comunicar a otro por medio de la lengua latina. No obstante la fidelidad no pueda juzgarse por las palabras individuales, sino en el contexto de todo el acto de la comunicación y de acuerdo a su propio género literario, sin embargo, algunos términos específicos también deben ser considerados en el contexto de la fe católica íntegra, porque cada traducción de los textos litúrgico debe ser congruente con la sana doctrina.
No debe sorprender que durante este largo camino de trabajo haya habido dificultades entre las Conferencias Episcopales y la Sede Apostólica. A fin de que las decisiones del Concilio sobre el uso de las lenguas vernáculas en la liturgia sean también válidas en tiempos futuros, es extremadamente necesaria la colaboración constante llena de confianza mutua, atenta y creativa, entre las Conferencias Episcopales y el Dicasterio de la Sede Apostólica, que ejerce la tarea de promover la sagrada Liturgia, es decir, la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos. Por lo tanto, para que continúe la renovación de toda la vida litúrgica, ha parecido oportuno que algunos principios transmitidos desde la época del Concilio sean más claramente reafirmados y puestos en práctica.
Sin duda se debe prestar atención a la utilidad y al bien de los fieles, tampoco hay que olvidar el derecho y el deber de las Conferencias Episcopales que, junto con las Conferencias Episcopales de las regiones que tienen el mismo idioma y con la Sede Apostólica, deben garantizar y establecer que salvaguardado el carácter de cada idioma, se manifieste plena y fielmente el sentido del texto original y que los libros litúrgicos traducidos, incluso después de las adaptaciones, refuljan siempre con la unidad del rito romano.
Para hacer más fácil y fructífera la colaboración entre la Sede Apostólica y las Conferencias Episcopales en este servicio que debe prestarse a los fieles, escuchado el parecer de la Comisión de Obispos y Peritos, por mí instituida, dispongo, con la autoridad que me ha sido confiada, que la disciplina canónica vigente actualmente en el can. 838 de C.I.C. se haga más clara, de manera que, tal como se expresa en la Constitución Sacrosanctum Concilium, en particular en los artículos 36 §§ 3. 4, 40 y 63, y en la Carta Apostólica Motu Proprio Sacram Liturgiam, n. IX, aparezca mejor la competencia de la Sede Apostólica respecto a la traducción de los libros litúrgicos y las adaptaciones más profundas , entre las que se pueden incluir también posibles nuevos textos que se incorporarán a ellos, establecidos y aprobados por las Conferencias Episcopales.
En este sentido, en el futuro el canon. 838 se leerá como sigue:
Can. 838 - § 1. Regular la sagrada liturgia depende únicamente de la autoridad de la Iglesia: esto compite a la Sede Apostólica y, según el derecho , al obispo diocesano.
§ 2. Es competencia de la Sede Apostólica ordenar la sagrada liturgia de la Iglesia universal , publicar los libros litúrgicos, revisar[1] las adaptaciones aprobadas según la norma del derecho por la Conferencia Episcopal, así como vigilar para que en todos los lugares se respeten fielmente las normas litúrgicas.
§ 3. Corresponde a las Conferencias Episcopales preparar fielmente las versiones de los libros litúrgicos en las lenguas vernáculas, adaptadas convenientemente dentro de los límites definidos, aprobarlas y publicar los libros litúrgicos, para las regiones de su pertinencia, después de la confirmación de la Sede Apostólica.
§4. Al obispo diocesano en la Iglesia a él confiada corresponde, dentro de los límites de su competencia, dar normas en materia litúrgica , a las cuales todos están obligados.
De manera consecuente se han de interpretar sea el artículo 64 § 3 de la Constitución Apostólica Pastor Bonus sean las otras leyes, en particular las contenidas en los libros litúrgicos, acerca de sus versiones. De la misma manera dispongo que la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos modifique su "Reglamento" basándose en la nueva disciplina y ayude a las Conferencias Episcopales a llevar a cabo su tarea y trabaje para promover cada vez más la vida litúrgica de la Iglesia Latina.
Ordeno que todo lo deliberado con esta Carta apostólica en forma de "motu propio" tenga firme y estable vigor, a pesar de cualquier disposición en contrario, aunque digna de mención especial, y que sea promulgado por la publicación en L'Osservatore Romano, entrando en vigor el 1 de octubre de 2017, y publicado a continuación en los Acta Apostolicae Sede.
Dado en Roma, junto a San Pedro, el 3 de septiembre de 2017, quinto de mi pontificado.
Francisco
(Traducción no oficial)