Quei 2584 modi per celebrare Dio.

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Arrivano le concordanze del "Missalis Hispano-Mozarabici"

Quei 2584 modi per celebrare Dio


di Marta Lago

Dalla compilazione e ricerca teologico-liturgica alla desiderata esperienza spirituale: il rito mozarabico riceve un importante impulso dal volume Concordantia Missalis Hispano-Mozarabici (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 955, euro 98) presentato a Roma alla presenza del cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Con il contributo dell'arcidiocesi spagnola di Toledo, questo nuovo strumento editoriale si deve a Félix María Arocena, Adolfo Ivorra e Alessandro Toniolo. Quasi mille pagine che contengono tutto il patrimonio orazionale del rito mozarabico per la celebrazione eucaristica e l'indice delle voci per la sua individuazione all'interno del Missale. Iniziata a cura di Manlio Sodi e di Achille Maria Triacca, la collezione "Monumenta Studia Instrumenta Liturgica" si arricchisce di queste Concordantia, un'autentica filigrana che è molto più di un mero strumento di consultazione. Così lo spiega al nostro giornale uno dei suoi autori, don Félix María Arocena, docente di Teologia Liturgica e Sacramentale nella Facoltà di Teologia dell'università di Navarra.

Fino a che punto il rito ispano-mozarabico esprime la relazione cultuale-culturale?

Nell'Hispania romana, poi visigota e quindi mozarabica, si conservò un modo specifico di celebrare i sacramenti proprio di quell'area geografica. È il rito ispano, se si fa riferimento alla liturgia prima dell'anno 711, rito visigotico se si allude ai goti convertiti o liturgia mozarabica se ci si riferisce ai cristiani che vissero durante la dominazione musulmana. Certamente, le categorie liturgiche utilizzate dal rito ispano affondano le proprie radici nella cultura del popolo che viveva tale liturgia. Il rito per i cristiani che vivono nella penisola iberica finisce con l'essere come i colori della bandiera per un determinato Paese. Cambiare questi riti significherebbe modificare la loro tradizione. Fra liturgia e cultura esiste una simbiosi molto intima.

È una lezione d'inculturazione della fede.

Certamente. Anzi, per comprendere in profondità le radici spirituali cristiane del popolo spagnolo occorre consultare la celebrazione ispana.

Qual è il suo volto?

In termini di teologia liturgica, la sua esuberanza eucologica. I libri liturgici mozarabici, soprattutto il Liber princeps, il messale, presentano un'abbondanza di testi orazionali incomparabilmente superiore alle altre famiglie liturgiche occidentali attualmente vive. Il rito ispano possiede quasi per ogni giorno una preghiera eucaristica; il rito romano, dopo il concilio Vaticano ii, ne presenta quattro.

Nel nuovo volume sono citate 2584 formule eucologiche.

È un dato molto importante, perché offre un'idea della dimensione orazionale del messale ispano. Non si tratta solo di quantità, ma anche di qualità e di spessore teologale, perché i contenuti della lex orandi ispana sono ricchissimi. Le Concordantia sono proprio uno strumento per potersi immergere in questo oceano. Senza il loro ausilio ritengo che non si possa ottenere la necessaria intelligenza teologica di un libro liturgico tanto importante come il messale. Si aprono enormi possibilità di ricerca in liturgia comparata, ad esempio, fra una nozione concreta nel rito romano e nel rito ispano. La liturgia ispana ha un latino molto diverso dal romano, l'elemento leggendario è più presente e il suo spessore lirico è enorme.

Quanto tempo avete impiegato per elaborare queste concordanze?

Il lavoro è durato quattro anni. È stato molto laborioso. Non tanto per l'esecuzione informatica del processo, quanto per la preparazione del testo, di modo che il procedimento informatico operasse su di esso. Ancora disponibile solo in latino, bisogna osservare che il messale mozarabico, così come è stato pubblicato nel 1991 (il primo tomo) e nel 1994 (il secondo tomo), presenta alcuni errori che se non fossero stati corretti avrebbero fatto sì che nelle concordanze apparissero termini inesistenti nella lingua latina. Nell'attuale messale mozarabico ci sono alcuni errori, ma forse anche nelle fonti: il Liber mozarabicus di Férotin o il Missale mixtum; tali errori possono a loro volta risalire ai manoscritti stessi che contenevano questi testi. Correggerli prima di sottoporli al trattamento informatico ha richiesto un grande sforzo. Siamo certi che questo nuovo strumento conferirà un efficace impulso alla teologia liturgica del rito ispano.

Le Concordantia sono strumenti specializzati di teologia liturgica. Dietro c'è anche il desiderio di divulgazione del rito ispano mozarabico?

Pensiamo a quello che presuppone per la Chiesa a Milano il suo rito. Il rito ambrosiano è vivo, si celebra e comporta tutta una spiritualità, un patrimonio di preghiera specifico. Questo esempio si può applicare tranquillamente alla Spagna. I cristiani in Spagna possiedono un rito liturgico che è proprio di questa terra; sarebbe imperdonabile se non apprezzassimo, coltivassimo e pregassimo con la sensibilità di coloro che ci hanno preceduto nella fede, persino fino al martirio.

Potremmo dire che il rito ispano mozarabico e la novità delle Concordantia sono un frutto maturo del Vaticano ii?

Il concilio ha dato uguale diritto e onore a tutti i riti legittimamente riconosciuti dalla Chiesa. Ha voluto che uno stesso mistero della fede avesse una celebrazione in una pluralità di riti. Quando la Sacrosanctum concilium ha enunciato questi principi, il cardinale arcivescovo di Toledo, Marcelo González Martín - il primo Superiore del rito ispano mozarabico dopo il concilio, poiché si tratta di un ufficio proprio della diocesi primaziale toledana - ha iniziato i lavori di restaurazione di questo rito. Ha mostrato la sua sensibilità ecclesiale nel conservare e promuovere una ricchezza della fede inculturata in Spagna. Si deve a lui l'edizione dell'attuale messale ispano mozarabico, che contiene autentici gioielli eucologici di saggi e santi: padri ispani come Isidoro di Siviglia, Ildefonso, Giusto di Urgel, Conanzio di Palenzia. Questo messale ha recuperato testi caduti nell'oblio da oltre cinquecento anni. È un patrimonio troppo importante per mettere a rischio il suo valore e la sua integrità.

Actualización 31/V/2010:

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Llegan las Concordancias del Misal Hispano-Mozárabe

Esas 2.584 formas de celebrar a Dios


Marta Lago

De la compilación e investigación teológico-litúrgica a la deseada vivencia espiritual: el rito hispano-mozárabe recibe un importante impulso con el volumen Concordantia Missalis Hispano-Mozarabici (Ciudad del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010), presentado estos días en Roma con la participación del cardenal Antonio Cañizares Llovera, prefecto de la Congregación para el culto divino y la disciplina de los sacramentos. Con la contribución de la archidiócesis española de Toledo, la novedosa herramienta editorial se debe a Félix María Arocena, Adolfo Ivorra y Alessandro Toniolo. Casi un millar de páginas que brindan todo el patrimonio oracional —depositum euchologicum— del rito mozárabe para la celebración eucarística y el índice de voces para su localización en el interior del Missale. A cargo de Manlio Sodi y Achille Maria Triacca, la colección Monumenta Studia Instrumenta Liturgica se enriquece con estas Concordantia, una auténtica filigrana que representa mucho más que un instrumento de consulta. Así lo explica a nuestro periódico uno de sus autores, don Félix María Arocena, profesor de Teología Litúrgica y Sacramentaria en la Facultad de Teología de la Universidad de Navarra.

¿Hasta qué punto el rito hispano-mozárabe expresa la relación culto-cultura?

En la Hispania romana, después visigótica y luego mozárabe, se mantuvo un modo específico de celebrar el culto divino propio de este área geo-cultual. Es el rito hispano, si se hace referencia a la liturgia antes del año 711, o rito visigótico si se alude a los godos conversos, o liturgia mozárabe en cuanto a los cristianos que vivieron durante la dominación musulmana. Los diversos nombres del rito responden a las diversas etapas históricas de la vivencia de la fe en la península ibérica. Ciertamente las categorías litúrgicas que utiliza el rito hispano hunden sus raíces en la cultura del pueblo que vive esa liturgia. Aproximarse al universo mozárabe con las expresiones de la liturgia, los ritos y su propia idiosincrasia, significa introducirse en el entorno cultural propio de quienes lo celebran.
Si consideramos el sustantivo cultura desde su etimología, es posible apreciar la relación que existe entre culto y cultura. Cultura deriva de colere: cultivar, habitar, amar, cuidar, venerar, adorar… y cultus procede también de colere. A partir de esta raíz común se atisba un nexo tan profundo que es imposible pensar en una cultura que no se exprese a través de formas cultuales, ni en un culto que no incida en la cultura en la que vive el rito. Es interesante identificar este movimiento: la Sacrosanctum Concilium presenta un trayecto desde la liturgia a la cultura, y la Gaudium et spes desde la cultura a la liturgia. Entre liturgia y cultura existe una simbiosis muy íntima. El culto plasma la cultura y crea sintagmas culturales que pueden estar constituidos al menos por estos ámbitos: arte, arquitectura, música, comunicación, predicación, drama sacro, literatura, poesía, piedad popular… En ello España es ejemplo emblemático.

Y una muestra de inculturación de la fe.

Absolutamente. Es más: para entender en profundidad las raíces espirituales cristianas del pueblo español, se necesita consultar la celebración hispana.

¿Cuál es su rostro?

En términos de teología litúrgica, su exuberancia eucológica. Los libros litúrgicos mozárabes, sobre todo el liber princeps, que es el Misal, presenta una abundancia de textos oracionales incomparablemente superior a las demás familias litúrgicas occidentales actualmente vivas, o sea, que se celebran. El rito hispano posee casi para cada día una plegaria eucarística propia; el rito romano, después del concilio Vaticano II, presenta cuatro.

Y en el nuevo volumen citan 2.584 fórmulas eucológicas.

Es un dato muy importante porque da idea de la dimensión oracional del misal hispano. Y no se trata sólo de extensión, sino también de calidad y espesor teologal, porque los contenidos de la lex orandi hispana son riquísimos. Precisamente las Concordantia llegan como instrumento para poder sumergirse en este océano. Sin el auxilio de las Concordancias considero que no se puede alcanzar la oportuna inteligencia teológica de un libro litúrgico tan importante como el misal. El misal romano las tiene; el ambrosiano también; el rito mozárabe carecía de ellas hasta ahora. Las Concordancias son el subsidio fundamental para determinar la ubicación de un término teológico significativo, como por ejemplo memorial, misterio, sacramento, celebración, luz... Se abren enormes posibilidades de investigación en liturgia comparada, por ejemplo, entre una noción concreta en el rito romano en relación con el rito hispano. El universo cultural es muy distinto: la liturgia hispana tiene un latín muy distinto del romano, el elemento legendario está mucho más presente y su densidad lírica es colosal.

¿Qué tiempo necesitaron para elaborar estas Concordancias?

El trabajo ha durado cuatro años. Fue muy laborioso. No tanto por la ejecución informática del proceso, sino por la preparación del texto, de modo que el procedimiento informático actuara sobre él. Aún disponible sólo en latín, hay que observar que el misal mozárabe, tal y como está editado en 1991 —el primer volumen— y en 1994 —el segundo volumen—, presenta algunos errores que si no se hubiesen pulido habrían provocado que en las Concordancias constaran términos inexistentes en la lengua latina. Algunos errores se encuentran en el misal actual mozárabe, pero quizá también en las fuentes —el Liber mozarabicus de Férotin o el Missale mixtum—; a su vez tales errores pueden remontarse a los manuscritos mismos que contienen esos textos. Purificarlos antes de someterlos al tratamiento informático ha requerido gran esfuerzo. Estamos seguros de que este nuevo instrumento será un impulso eficaz a la teología litúrgica del rito hispano.

Las «Concordantia» son una herramienta especializada de teología litúrgica. ¿Late también el deseo de divulgación del rito hispano-mozárabe, de su conocimiento, de su vivencia espiritual?

Pensemos en lo que supone para la Iglesia en Milán su propio rito. El rito ambrosiano está vivo, se celebra en la catedral y en las parroquias de la ciudad, de la diócesis y algunas suburbicarias, y conlleva toda una espiritualidad, un patrimonio de oración específico. No hay inconveniente en trasladar este ejemplo a España. Los cristianos en España poseen un rito litúrgico que es propio de esta tierra; sería inexcusable que no apreciáramos, cultiváramos y oráramos con la sensibilidad de quienes nos precedieron en la fe, incluso hasta el martirio. Un ejemplo: el formulario de la Misa del 18 de diciembre, día de Santa María, la fiesta mariana más importante del calendario hispano. Las expresiones con las que que la liturgia celebra el misterio de Cristo en María nos descubren horizontes de teología y espiritualidad realmente insospechados.

¿Podríamos decir que el rito hispano-mozárabe —y la novedad de las «Concordantia»— son un fruto maduro del Vaticano II?

El Concilio dio igual derecho y honor a todos los ritos legítimamente reconocidos por la Iglesia. Quiso que un mismo misterio de la fe se celebrara en una pluralidad de ritos. Cuando la Sacrosanctum Concilium enunció estos principios, el cardenal arzobispo de Toledo, Marcelo González Martín —el primer Superior del rito hispano-mozárabe después del Concilio, pues es oficio propio de la diócesis primada toledana—, inició los trabajos de restauración de este rito. Mostró su sensibilidad eclesial para conservar y promover una riqueza de la fe inculturada en España. A él se debe la edición del actual misal hispano-mozárabe, que recoge auténticas joyas eucológicas de sabios y santos: padres hispanos como Isidoro de Sevilla, Ildefonso, Justo de Urgel, Conancio de Palencia. Este Misal ha recuperado textos que llevaban más de quinientos años en el olvido. Es un patrimonio demasiado importante como para arriesgar su valor e integridad.